"Non buttare via il tuo tempo o il tempo butterà via te."



domenica 23 ottobre 2016

Ne è piena, la storia del meridionalismo visivamente distorto, di “battute” come quella di Oliviero Toscani che fatichiamo a capire

«Una battuta che il ragazzo non ha capito». Con questa “pezza” si giustifica il maestro della fotografia Oliviero Toscani nei confronti della risposta – «No, perché sei un potenziale mafioso» - data ad uno studente vibonese che gli chiedeva di fare un “selfie” all’inaugurazione della mostra fotografica allestita alla Camera di commercio. Magari sarà stata, quella di Toscani, realmente una battuta. Infelice, ma battuta. O, forse, lo avrà anche offeso due volte lo studente, e con esso gran parte dei calabresi, dandogli dell’ignorante, scarsamente dotato di senso dell’umorismo, oltre che del potenziale mafioso. L’impressione, a pelle, è che quella di Toscani, stavolta, sia stata una fotografia venuta male. Una fotografia che, ancora una volta, riproduce una realtà territoriale, quella meridionale, nello specifico calabrese, in modo distorto. Una fotografia, come purtroppo spesso accade, scattata guardando da un angolo visuale non completamente includente, che è quello generalizzante. Perché, nessuno lo può negare: la Calabria ha certamente i suoi bei problemi, a volte atavici, come quello della mafia, dello scarso sviluppo infinito, della povertà, della mancanza di lavoro. Ma questo non può, e non deve, indurre a fare un fascio di tutta l’erba. Si può essere contrari a certe pratiche prevalentemente giovanili, come è quella di farsi i “selfie”. Ma non si può riprodurre il meridionale, ed il calabrese, sempre come sudicio, sporco, lercio e mafioso. E la riprova che si sia trattato di questo, e non di (inutile) sarcasmo, sta nella risposta ad una domanda che pongo: avrebbe, il maestro Toscani, reagito allo stesso modo, opponendo un rifiuto con la “battuta” del potenziale mafioso, alla medesima richiesta avanzatagli, magari, da uno studente milanese? Ognuno esprima l’opinione che meglio ritiene. A me è venuto subito in mente quel triste episodio narrato dal grande Leonida Repaci del povero contadino calabrese trovatosi a Milano a dover pagare il biglietto del treno con una banconota tutta stropicciata e sbiadita: il tranviere la rifiutò, come se si trattasse di un qualche mezzo di trasmissione di chissà quale tremenda malattia infettiva. Andando oltre, poi, la storia è piena di fotografie distorte. Di queste “battute” che si faticano a capire. “Battuta” scarsamente comprensibile, ad esempio, sebbene puntualmente smentita e trasformata in bufala, fu quella di Vasco Rossi, che una volta etichettò il sud come un cesso e disse che ci viene a suonare perché ogni tanto al cesso bisogna pure andarci. Ancora più tremenda, forse, fu quella di Antonello Venditti, che qualche anno addietro, ad un concerto tenuto a Marsala, in Sicilia, disse che in Calabria non c’è nulla, chiedendosi, allora, le ragioni per cui Dio l’avesse creata. Anche lui smentì, affermando che non sarebbe stato capito il senso delle sue parole. Perché, è bene ricordarlo, i calabresi, oltre che mafiosi, siamo anche imbecilli. Ancora più recentemente, indi, è stato Roberto Vecchioni, che, in una lezione tenuta in una facoltà universitaria palermitana, etichettò la Sicilia (stavolta) come “un isola di merda”. Se la cavò meglio con le scuse, perché seppe dare una spiegazione più convincente sul significato della sua affermazione. Andando più indietro negli anni, si scopre che lo scrittore inglese Brian Glanville riportò in un suo libro che «la Calabria è un paese di semiselvaggi, dove si è circondati di gente infida e pericolosa». Questa evidentemente non sarà stata una battuta. Cambiando ambito, ed allargando lo sguardo al meridione nella sua interezza, è di questo mese la notizia secondo cui in Inghilterra, in determinate circoscrizioni scolastiche, è stato chiesto a degli studenti originari del nostro paese di specificare se fossero italiani, napoletani o siciliani. Perché, è notorio, c’è differenza ad essere meridionali, in genere, “invece” che italiani. Prendiamo anche questa come “battuta”. Una “battuta” venuta male o non capita. Ma, no, non è vero che non capiamo le battute. È vero, invece, che la Calabria è soprattutto altro: è il paese di due milioni di abitanti che Leonida Repaci, nel suo libro, “Calabria grande e amara”, immaginò creato da Dio come un capolavoro da quei «15 mila chilometri quadrati di argilla verde con riflessi viola», donando a ciascuna città una sua propria specificità e creando una terra «più bella della California e delle Hawaii, della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi». Diede, Dio alla Calabria, stagioni sempre con il sole «madri tenere, mogli coraggiose, figlie contegnose, figli immaginosi, uomini autorevoli, vecchi rispettati, mendicanti protetti, infelici aiutati, persone fiere, leali, socievoli e ospitali». E poi, non ancora soddisfatto, Dio «volle il mare sempre viola, la rosa sbocciante a dicembre, il cielo terso, le campagne fertili, le messi pingui, l'acqua abbondante, il clima mite, il profumo delle erbe inebriante». Ecco perché le “battute", spesso, non le capiamo. Ecco perché sarebbe ora di iniziare ad essere stufi di essere considerati imbecilli, e privi di humour, oltre che mafiosi, beceri e sporchi. Perché è vero: la Calabria, il sud, ne hanno di problemi, e tanti. Ma sbagliato è guardarli ed etichettarli, e con essi chi ci vive, solo per questi. È sbagliato osservarli e fotografarli da quell’angolo restrittivo e generalizzante: lo stesso, per essere più chiari, da cui si guarda all’Italia vedendone solo pizza, spaghetti e mandolino. 

sabato 15 ottobre 2016

Ecco perché voto ed invito a votare SI al referendum costituzionale del 4 dicembre

Il prossimo 4 dicembre saremo chiamati a concorrere alla realizzazione di un evento epocale inseguito invano da decenni: la riforma della nostra costituzione. “La più bella del mondo”, come l’ha definita Roberto Benigni.
Sicuramente lo è stata quando è nata, come perfetto compromesso tra le forze politiche di diversa estrazione chiamate a risollevare le sorti di un paese distrutto da vent’anni di dittatura, dal conflitto mondiale e da una fratricida guerra civile, in un mondo che era diviso in due blocchi i quali, anche in Italia, si guardavano con astio e diffidenza.
Si veniva fuori da un periodo buio ed i padri costituenti hanno dovuto adottare tutti gli accorgimenti possibili per mantenere un solido equilibrio tra due diverse e distanti visioni dell’assetto sociale e, allo stesso tempo, per impedire altri funesti colpi di mano. In questo contesto geopolitico globale hanno dato alla carta fondamentale del nostro paese un impostazione di mediazione, con la previsione di un iter legislativo volutamente lento, per meglio valutare i testi normativi che si andavano ad approvare.
Lo è stata, la più bella del mondo, certamente anche per molti anni successivamente alla sua stesura.
Lo è ancora in molte sue componenti, come la prima parte, dedicata ai principi fondamentali, talmente validi ed ancora attuali che nessuno si sognerebbe di metterli in discussione.
Però, come accade anche con la più affascinante delle miss col tempo, pur sussistendo ancora molte singolarità certamente uniche ed apprezzabili nella personalità e nelle sembianze, la bellezza col passare degli anni sfuma. Perché il tempo, com’è giusto che sia, cambia, a volte, stravolge le cose: le modifica, le altera, le trasforma. O, più semplicemente, fornisce altri canoni da cui partire per valutare i parametri della bellezza.
Ed il tempo attuale dice che in molti punti la costituzione è superata e va rivista, perché vi sono nuovi parametri ed esigenze di stabilità cui far riferimento ed occorre una maggiore rapidità d’azione, in un mondo globalizzato che corre veloce e cambia senza nemmeno a volte farcene accorgere nell’immediatezza.
L’attuale situazione politica in Italia è quella di un deleterio ingessamento istituzionale, da attribuire in gran parte al bicameralismo paritario, che impedisce un rapido iter legislativo.
Quella che andremo ad approvare non è sicuramente la migliore delle riforme possibili, ma, altrettanto certamente, è un passo avanti per un paese più moderno e proiettato verso il futuro ed ha molti punti di forza che necessariamente devono indurre a votare SI.

Ecco perché, senza indugi, bisogna farlo:

·         SI riforma il bicameralismo paritario -
la riforma punta in prima battuta ad eliminare la lentezza nell’iter di approvazione delle leggi, prevedendo un Senato delle autonomie locali che, come avviene ora, concorrerà solo nell’approvazione di determinate leggi importanti, mentre per tutte le altre, che saranno di competenza della Camera dei Deputati, il nuovo Senato avrà 10 giorni per richiedere un esame e, se ciò avviene, altri 30 giorni per proporre delle modifiche, su cui la Camera, comunque, avrà la facoltà di pronunciarsi in via definitiva;

·        SI dà maggiore stabilità ai governi –
Spesso, nella situazione di parità dei due rami del parlamento, accade che al Senato vi sia una maggioranza ed alla Camera un’altra, ciò che determina una instabilità governativa congenita che ha fatto sì, ad esempio, che negli ultimi 10 anni si succedessero ben 6 governi, contro i normali due che sarebbero stati necessari. Con la riforma la fiducia la può dare e togliere solo la Camera;

·        SI riduce il numero di senatori –
il numero dei senatori passa dagli attuali 315 a 100, che non percepiranno indennità, con un notevole risparmio per le casse dello stato;

·        SI aboliscono il Cnel e le provincie –
il risparmio per le casse statali arriverà anche dall’abolizione delle provincie, che per come sono state ridotte non hanno ragione d’essere se non quella di perpetrare l’abbandono di interi territori, e del Cnel, inutile carrozzone senza alcuna funzione utile se non quella di piazzare personalità di varia estrazione in una posizione di prestigio di cui fregiare il pennacchio;

·         SI pone fine all’abuso ed alla forzatura dei decreti legge –
l’ingessatura dell’attuale sistema induce spesso i governi a far ricorso al più rapido strumento del Decreto legge, che può essere approvato in un tempo massimo di 60 giorni. L’abolizione del bicameralismo paritario, con la possibilità di approvare in modo estremamente rapido le leggi, rende inutile il ricorso ai Decreti, per i quali, in ogni caso, con la riforma è previsto un maggior controllo da parte del Presidente delle Repubblica, il quale, per valutarne più attentamente la validità, avrà a disposizione 90 giorni, contro gli attuali 60. I decreti legge, inoltre, dovranno contenere misure immediatamente applicabili, tali da giustificarne l’approvazione;

·         SI elimina la facoltà legislativa delle regioni in materie di interesse nazionale –
la riforma toglie alle regioni la possibilità di legiferare in materie che hanno valenza nazionale, sopprimendo una quantità assurda di contenziosi che determinano sprechi in tempo e danaro. Ciò, comunque, non significa indebolire la potestà delle regioni, che potranno far sentire la propria voce e far valere le proprie ragioni nel Senato, il quale, appunto, viene trasformato nella camera delle autonomie locali;

·         SI instaura una nuova forma di controllo sull’approvazione delle leggi elettorali –
è previsto che una minoranza di parlamentari possa richiedere la verifica costituzionale di tali importanti norme;

·          SI incrementa la democrazia diretta –
con l’introduzione dell’obbligo per il parlamento di discutere le proposte di legge d’iniziativa popolare (una misura importantissima tendente ad evitare che tali proposte cadano nel dimenticatoio, anche se si estende da 50 a 150 mila il numero di firme da raccogliere per poterle presentare), l’istituzione del referendum propositivo e la modifica del quorum per quello abrogativo (in linea generale rimane il quorum del 50% +1 degli aventi diritto per la validità del referendum, ma se a proporre il quesito sono almeno 800 mila firmatari, tale quorum si abbassa alla metà più uno dei votanti alle ultime elezioni per la Camera);

·         SI vota per il futuro del paese
il punto da tenere fermo andando a votare per il SI è che tale voto lo si esprime per il futuro dell’Italia, non a favore o contro un governo o a favore o contro un presidente del consiglio. Questi passeranno comunque. L’Italia, che è qualcosa di ben più importante, rimane e deve correre al passo con le altre nazioni.

Questi sono solo alcuni dei motivi, i più rilevanti, per cui è necessario votare per il SI, nella convinzione che quello che si sta andando a realizzare è un cambiamento storico, che, come tutti i cambiamenti storici – vedi la scelta tra monarchia e Repubblica o il divorzio – dividono l’opinione pubblica. Per tali riforme sarebbe sempre auspicabile il coinvolgimento delle più ampie maggioranze. Ma se non esiste questa unità d’intenti, e vi sono necessità superiori ed impellenti, non si può, come spesso si fa, accusare l’attuale formazione di governo parlamentare di fare le riforme costituzionali a colpi di maggioranza assoluta: non si tratta di un’usurpazione ma di quanto prevede l’articolo 138 della nostra carta fondamentale.


Per tutte queste ragioni io voto, ed invito a votare, SI. Perché la nostra costituzione deve tornare ad essere la più bella del mondo. E perché con questo voto dobbiamo essere in grado di dimostrare che il Paese è all’altezza di affrontare e reggere i cambiamenti, sia a livello nazionale che globale e di Unione europea, che richiedono istituzioni e procedure più stabili, semplificate, rapide ed efficaci. 

Io voto, ed invito a votare SI, perché ho a cuore il futuro dell’ITALIA 

giovedì 13 ottobre 2016

10.000 e 25 volte grazie

Comunicare per condividere le proprie idee con gli altri, provando a suscitare riflessione, discussione e dibattito sui temi e sui personaggi più svariati, è un’attività che mi ha sempre stuzzicato, sia come semplice cittadino che come servitore della cosa pubblica. Per questo tempo addietro mi sono lanciato nell’avventura di questo blog, inteso come contenitore di idee, propositi e proposte senza alcuna pretesa se non quella esposta in premessa. Non pretendevo e non pretendo che le mie idee siano condivise da tutti ma mi piace pensare che inducano interesse e curiosità. Lo splendido risultato di oltre 10.000 visite mi spinge a dedurre che questo intento sia stato in parte raggiunto, mi lusinga e mi convince che quella del blog sia stata una buona idea e mi stimola a continuare a trasmettere agli altri le mie riflessioni, come spunto per promuovere l’interazione e lo scambio di vedute. La parola se promossa, stimolata, aiutata, diffusa, sostenuta, incoraggiata, pungolata ma anche controbattuta, ribattuta e confutata, dove serve, è uno strumento meraviglioso che può concorrere a cambiare il mondo. Anche io cerco di dare il mio contributo e vi ringrazio per essere stati presenti in molti, dal più distratto al più attento, dal più critico a colui il quale ha maggiormente condiviso, passando per il più interessato agli argomenti e per colui al quale non gliene è fregato di meno: 10.000 e 25 grazie sperando, in ogni caso, di aver stimolato considerazioni, opportunità di confronto e anche critiche, che se costruttive possono avere anch’esse utilità.

domenica 9 ottobre 2016

Nel giorno dell’anniversario dalla morte di Che Guevara, simbolo di una rivoluzione ancora attuale

Quarantanove anni fa, come oggi, ucciso da militari colombiani moriva Ernesto Che Guevara, uomo universalmente assunto a simbolo della rivoluzione, il quale, dopo aver visto la miseria e la povertà di molti paesi dell’America latina, decise di sposare la causa degli oppressi e di combattere ogni forma di diseguaglianza sociale attraverso la lotta rivoluzionaria. Oggi il Che è quasi una leggenda, un mito che va di moda, da indossare su una maglietta rossa o far sventolare impresso su una bandiera. Ma Guevara non è questo, non è una moda: egli è stato, ed è ancora, la rivoluzione. L’idea della rivoluzione attraverso cui si può arrivare all'eguaglianza ed al cambiamento. Ed è il Che rivoluzionario che mi piace ricordare oggi, nell'idea di una rivoluzione forte ed ancora attuale ai tempi odierni, da intendersi come azione che ognuno al mondo deve condurre quotidianamente per cambiare le cose e cambiarle in meglio. Il suo ricordo ed il suo esempio servono a farci riflettere sull'importanza che ha per ogni individuo essere rivoluzionario. Rivoluzionario non attraverso la violenza. Non attraverso la sopraffazione. E neppure attraverso la prepotenza fisica, l’arroganza intellettuale o la superbia morale. Se rivoluzione equivale a cambiamento questo lo si può raggiungere attraverso la novità nelle idee, il modo di pensare e di agire, l’essere audacemente visionari in un contesto ostile che tende a rimanere fermo nella sua perseverante sedimentazione. Essere rivoluzionari, oggi, significa aprirsi alla cultura ed all'istruzione, da cui trarre l’insegnamento che cambiare si può. Significa dialogare ed ascoltare, confrontandosi attraverso l’esposizione delle proprie tesi, l’ascolto delle antitesi ed il raggiungimento di una certa sintesi. Essere rivoluzionari oggi significa compiere pratiche produttive indirizzate al bene comune e moralmente oneste e cercare, attraverso esse, di porsi da positivo esempio agli altri. Significa promuovere la sinergia tra tutti gli attori sociali, vero carburante del mutamento civile, morale e materiale. Significa rispetto della legalità, perchè solo una società in cui si osservano le regole sarà una società sana, viva e produttiva. Significa che ognuno deve agire nel suo ed aver sete di cambiamento. Un cambiamento che porti benessere per tutti. Sono certo che nel mondo di oggi anche Ernesto Che Guevara sarebbe stato rivoluzionario in tal senso. Ed è per questo che mi piace ricordarne la figura. È per questo che invito tutti, oggi, ad essere dei rivoluzionari. 

sabato 1 ottobre 2016

Una grande speranza per i piccoli centri e per Gerocarne

Sono 5585 e vi vivono oltre 10 milioni di italiani. Sono i piccoli centri con una popolazione fino a 5000 abitanti: realtà con enormi potenzialità spesso nascoste che rappresentano l’ossatura del paese e per questo non possono e non devono scomparire. Non possono e non devono scomparire perché sono custodi di storie e tradizioni millenarie. Non possono e non devono scomparire perché da essi dipende in gran parte la cura e la tutela di gran parte, più della metà, del territorio nazionale (solo in provincia di Vibo i comuni con meno di 5000 abitanti sono 44 su 50). In questa direzione, finalmente, dopo anni di quasi totale immobile ed ignobile menefreghismo, si muove il disegno di legge approvato unanimemente nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati, ed ora in attesa di essere esaminato dal Senato. Contiene le “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici”. Relatore è stato l’Onorevole Enrico Borghi, presidente nazionale Uncem (Unione nazionale comuni, comunità, enti montani), che da anni lavora a questo progetto di legge. Un provvedimento che si pone in controtendenza con l’atteggiamento totalmente incurante cui si è assistito negli ultimi anni verso le piccole realtà, lasciate al loro amaro destino nella vergognosa attesa che si auto estinguessero. Per evitare questo la legge prevede tante valide misure, con l’aggiunta di uno stanziamento massimo di 100 milioni di euro, da erogare tra il 2017 e il 2023, per il sostegno agli investimenti pubblici, attraverso cui lo Stato punta a concorrere al finanziamento di progetti di sviluppo locali, indicando i campi progettuali ed agevolando la capacità di coinvolgere altri capitali pubblici e privati.
Tra le principali novità che la legge prevede ci sono:
– l’istituzione di centri multifunzionali atti a fornire servizi in materia ambientale, sociale, energetica, scolastica, postale, artigianale, turistica, commerciale, di comunicazione e sicurezza;
– lo stanziamento di 10 milioni di euro per il 2017 e 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2023, destinati a finanziare interventi di tutela dell’ambiente e dei beni culturali, mitigazione del rischio idrogeologico, messa in sicurezza delle scuole, acquisizione delle case cantoniere e ferrovie disabitate per realizzare circuiti turistici e promuovere la vendita di prodotti locali;
– il riconoscimento di attori principali ai piccoli comuni nello sviluppo socio-economico del territorio, da esercitarsi in forma associata con altri Comuni;
– il consumo e la commercializzazione dei beni agroalimentari provenienti da filiera corta a chilometro utile (quelli prodotti e trasformati a una distanza non superiore a 50 chilometri dal luogo di vendita e in assenza di intermediari commerciali).
– agevolazioni nella rete dei trasporti pubblici, finalizzati al collegamento tra i comuni delle aree rurali e montane, e con i comuni capoluogo di provincia e regione;
– recupero e riqualificazione dei centri storici, con la creazione di alberghi diffusi e promuovendo l’efficientamento energetico e la prevenzione antisismica.
Una vera e propria rivoluzione copernicana, attesa e agognata, che interviene sullo SOS lanciato da tanti paesini che non intendono rassegnarsi alla morte. La speranza, ora, è che il Senato, cui è demandata l’ultima analisi, e la definitiva approvazione del disegno di legge, faccia presto: ci sono tanti piccoli centri desiderosi di mostrare la loro grande valenza che non possono più aspettare.