Il prossimo 4 dicembre saremo chiamati a
concorrere alla realizzazione di un evento epocale inseguito invano da decenni:
la riforma della nostra costituzione. “La più bella del mondo”, come l’ha
definita Roberto Benigni.
Sicuramente lo è stata quando è nata, come
perfetto compromesso tra le forze politiche di diversa estrazione chiamate a
risollevare le sorti di un paese distrutto da vent’anni di dittatura, dal
conflitto mondiale e da una fratricida guerra civile, in un mondo che era
diviso in due blocchi i quali, anche in Italia, si guardavano con astio e
diffidenza.
Si veniva fuori da un periodo buio ed i
padri costituenti hanno dovuto adottare tutti gli accorgimenti possibili per
mantenere un solido equilibrio tra due diverse e distanti visioni
dell’assetto sociale e, allo stesso tempo, per impedire altri funesti colpi di
mano. In questo contesto geopolitico globale hanno dato
alla carta fondamentale del nostro paese un impostazione di mediazione, con la
previsione di un iter legislativo volutamente lento, per meglio valutare i
testi normativi che si andavano ad approvare.
Lo è stata, la più bella del mondo, certamente anche per molti
anni successivamente alla sua stesura.
Lo è ancora in molte sue componenti,
come la prima parte, dedicata ai principi fondamentali, talmente validi ed
ancora attuali che nessuno si sognerebbe di metterli in discussione.
Però, come accade anche con la più
affascinante delle miss col tempo, pur sussistendo ancora molte singolarità
certamente uniche ed apprezzabili nella personalità e nelle sembianze, la
bellezza col passare degli anni sfuma. Perché il tempo, com’è giusto che sia, cambia,
a volte, stravolge le cose: le modifica, le altera, le trasforma. O, più
semplicemente, fornisce altri canoni da cui partire per valutare i parametri
della bellezza.
Ed il tempo attuale dice che in molti punti
la costituzione è superata e va rivista, perché vi sono nuovi parametri ed
esigenze di stabilità cui far riferimento ed occorre una maggiore rapidità
d’azione, in un mondo globalizzato che corre veloce e cambia senza nemmeno a
volte farcene accorgere nell’immediatezza.
L’attuale situazione politica in Italia
è quella di un deleterio ingessamento istituzionale, da attribuire in gran
parte al bicameralismo paritario, che impedisce un rapido iter legislativo.
Quella che andremo ad approvare non è
sicuramente la migliore delle riforme possibili, ma, altrettanto certamente, è
un passo avanti per un paese più moderno e proiettato verso il futuro ed ha
molti punti di forza che necessariamente devono indurre a votare SI.
Ecco perché, senza indugi, bisogna
farlo:
·
SI riforma il bicameralismo paritario -
la
riforma punta in prima battuta ad eliminare la lentezza nell’iter di
approvazione delle leggi, prevedendo un Senato delle autonomie locali che, come
avviene ora, concorrerà solo nell’approvazione di determinate leggi importanti,
mentre per tutte le altre, che saranno di competenza della Camera dei Deputati,
il nuovo Senato avrà 10 giorni per richiedere un esame e, se ciò avviene, altri
30 giorni per proporre delle modifiche, su cui la Camera, comunque, avrà la
facoltà di pronunciarsi in via definitiva;
·
SI dà maggiore
stabilità ai governi –
Spesso,
nella situazione di parità dei due rami del parlamento, accade che al Senato vi
sia una maggioranza ed alla Camera un’altra, ciò che determina una instabilità
governativa congenita che ha fatto sì, ad esempio, che negli ultimi 10 anni si
succedessero ben 6 governi, contro i normali due che sarebbero stati necessari.
Con la riforma la fiducia la può dare e togliere solo la Camera;
·
SI riduce il
numero di senatori –
il
numero dei senatori passa dagli attuali 315 a 100, che non percepiranno
indennità, con un notevole risparmio per le casse dello stato;
·
SI aboliscono il
Cnel e le provincie –
il
risparmio per le casse statali arriverà anche dall’abolizione delle provincie,
che per come sono state ridotte non hanno ragione d’essere se non quella di
perpetrare l’abbandono di interi territori, e del Cnel, inutile carrozzone
senza alcuna funzione utile se non quella di piazzare personalità di varia
estrazione in una posizione di prestigio di cui fregiare il pennacchio;
·
SI pone fine all’abuso ed alla forzatura dei
decreti legge –
l’ingessatura
dell’attuale sistema induce spesso i governi a far ricorso al più rapido
strumento del Decreto legge, che può essere approvato in un tempo massimo di 60
giorni. L’abolizione del bicameralismo paritario, con la possibilità di
approvare in modo estremamente rapido le leggi, rende inutile il ricorso ai
Decreti, per i quali, in ogni caso, con la riforma è previsto un maggior
controllo da parte del Presidente delle Repubblica, il quale, per valutarne più
attentamente la validità, avrà a disposizione 90 giorni, contro gli attuali 60.
I decreti legge, inoltre, dovranno contenere misure immediatamente applicabili,
tali da giustificarne l’approvazione;
·
SI elimina la facoltà legislativa delle
regioni in materie di interesse nazionale –
la
riforma toglie alle regioni la possibilità di legiferare in materie che hanno valenza
nazionale, sopprimendo una quantità assurda di contenziosi che determinano
sprechi in tempo e danaro. Ciò, comunque, non significa indebolire la potestà
delle regioni, che potranno far sentire la propria voce e far valere le proprie
ragioni nel Senato, il quale, appunto, viene trasformato nella camera delle
autonomie locali;
·
SI instaura una nuova forma di controllo
sull’approvazione delle leggi elettorali –
è
previsto che una minoranza di parlamentari possa richiedere la verifica
costituzionale di tali importanti norme;
·
SI
incrementa la democrazia diretta –
con
l’introduzione dell’obbligo per il parlamento di discutere le proposte di legge
d’iniziativa popolare (una misura importantissima tendente ad evitare che tali
proposte cadano nel dimenticatoio, anche se si estende da 50 a 150 mila il
numero di firme da raccogliere per poterle presentare), l’istituzione del
referendum propositivo e la modifica del quorum per quello abrogativo (in linea generale rimane il quorum del 50% +1 degli aventi diritto per la validità del referendum, ma se a proporre il quesito sono almeno 800 mila firmatari, tale quorum si abbassa alla metà più uno dei votanti alle ultime elezioni per la Camera);
·
SI vota per il futuro del paese
il
punto da tenere fermo andando a votare per il SI è che tale voto lo si esprime
per il futuro dell’Italia, non a favore o contro un governo o a favore o contro
un presidente del consiglio. Questi passeranno comunque. L’Italia, che è
qualcosa di ben più importante, rimane e deve correre al passo con le altre
nazioni.
Questi sono solo alcuni dei motivi, i
più rilevanti, per cui è necessario votare per il SI, nella convinzione che
quello che si sta andando a realizzare è un cambiamento storico, che, come
tutti i cambiamenti storici – vedi la scelta tra monarchia e Repubblica o il divorzio
– dividono l’opinione pubblica. Per tali riforme sarebbe sempre auspicabile il
coinvolgimento delle più ampie maggioranze. Ma se non esiste questa unità
d’intenti, e vi sono necessità superiori ed impellenti, non si può, come spesso
si fa, accusare l’attuale formazione di governo parlamentare di fare le riforme
costituzionali a colpi di maggioranza assoluta: non si tratta di un’usurpazione
ma di quanto prevede l’articolo 138 della nostra carta fondamentale.
Per
tutte queste ragioni io voto, ed invito a votare, SI. Perché la nostra
costituzione deve tornare ad essere la più bella del mondo. E perché con questo
voto dobbiamo essere in grado di dimostrare che il Paese è all’altezza di
affrontare e reggere i cambiamenti, sia a livello nazionale che globale e di
Unione europea, che richiedono istituzioni e procedure più stabili,
semplificate, rapide ed efficaci.
Io
voto, ed invito a votare SI, perché ho a cuore il futuro dell’ITALIA
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