Chi
dice che sia necessario uscire dall’euro e tornare alla vecchia lira è solo un
folle che fa del qualunquismo una filosofia non solo inconcludente ma
pericolosa. Vero è, invece, che occorre ripensare l’idea di Europa, affinché ve
ne sia di più in ogni stato membro. Europa non deve significare accozzaglia di
stati, ma unica e straordinaria nazione che permetta alle singole realtà che la
compongono di affrontare e superare quei problemi che da sole non sono in grado di gestire. Per questa
ragione il prossimo appuntamento elettorale per eleggere i nostri
rappresentanti al parlamento di Strasburgo rappresenta un’ opportunità
imprescindibile per giungere ad un nuovo progetto di unione, più utile e
funzionale ai paesi che hanno investito il nostro futuro in questo grande,
ambizioso e prospero progetto unitario. In questa prospettiva ad essere rivista,
innanzitutto, è la gestione dei fondi comunitari per il quinquennio 2014/2020, affinché
queste importanti risorse si trasformino seriamente in un’occasione per il
rilancio dell’intero meridione e della Calabria in particolare. Perché ciò
avvenga è necessario che i comuni, almeno per gli stanziamenti meno corposi,
possano accedervi direttamente, senza dover passare per l’intermediazione della
regione. Ciò permetterebbe di snellire le lunghe ed interminabili trafile
burocratiche, causa di ritardi nella progettazione, per non dire di perdita dei
fondi stessi. Ed il fatto che la nostra regione utilizzi solo il 40% delle
risorse europee, rispedendo il resto al mittente, la dice lunga sul fallimento
dell’attuale sistema di gestione. E, su questo fronte, il settore a cui dare
priorità è quello occupazionale, indirizzando i fondi alla creazione di opportunità
di lavoro sul territorio, valorizzando il turismo sostenibile e le risorse
locali. In ambito occupazionale è necessario un progetto totalmente nuovo, che
preveda l’investimento di cifre ben più alte di quelle attuali, di cui si
potrebbe disporre attraverso un maggiore contributo di ciascun paese membro,
accumulando fondi più cospicui da indirizzare esclusivamente al settore
lavorativo. In secondo luogo, parlando di obiettivi comunitari, è necessario
che si abbandoni la politica dell’austerity, un oscuro tunnel da cui, se si vuole veramente agevolare
la crescita, occorre uscire immediatamente. L’attuale stato dell’Unione
testimonia la non utilità del sanzionare gli stati che, per i motivi più
disparati, rimangono indietro. Più logico e fruttuoso, invece, sarebbe la
creazione di una banca centrale che si ponga il compito di intervenire in aiuto
degli stati maggiormente in difficoltà, sostenendoli concretamente e mirando a
portarli a livelli paragonabili a quelli dei paesi più prosperi. Abbiamo l’esempio
in Italia, dove lo sviluppo a due velocità, quella del nord e quella del sud,
non ha giovato per niente allo sviluppo generale del paese. La medesima cosa
accade in Europa. Tra i meccanismi cui bisogna mettere immediatamente mano,
poi, vi è quello della fiscalità, creando, anche in questo frangente, un
sistema tributario unico che impedisca ad ogni singolo paese di agire a proprio
piacimento ed imporre tasse a iosa. Italia, con la maggior fiscalità ed il
maggior costo del lavoro d’Europa, docet. Infine, per una nuova idea di Unione, è
indispensabile che a farsi carico del triste fenomeno dell’immigrazione non sia
la sola Italia ma l’Europa intera, riscrivendo la politica dell’accoglienza e
della successiva integrazione, da realizzare anche riconoscendo la cittadinanza
a coloro che nascono in uno degli stati che la compongono. È necessaria un’Europa
nuova. Un’Europa diversa, più vicina alle necessità degli stati e dei popoli
che la costituiscono. Ed una nuova Europa è possibile solo riscrivendo le regole.
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