È una giornata storica, negativamente,
quella del 9 maggio, giorno in cui, nel 1978, perirono per mano omicida due
grandi personalità, che pagarono cara la loro ferma opposizione alla mafia ed al
terrorismo, in due campi diversi ma fondamentali della vita civile di un paese:
Peppino Impastato e Aldo Moro. Giornalista e fervido attivista il primo,
vittima di un agguato mafioso per via delle sue coraggiose denuncie contro il
malaffare di “cosa nostra” siciliana, cui la sua famiglia, con la quale non
ancora ventenne ruppe, era legata. Un giornalista coraggioso ed eroico, il
quale, dopo tante lotte per gli ultimi ed aperte denuncie e beffeggiamenti di pericolosi
mafiosi, fatte in particolare da Radio Aut, da lui fondata nel 1976, aveva
deciso di esportare questo suo attivismo in politica, candidandosi alle
comunali della sua città del 1978. Si tentò di impedirlo, uccidendolo in un agguato
avvenuto durante la campagna elettorale nella notte tra l’8 ed il 9 maggio, in
cui si tentò pure di infangarlo facendolo passare per attentatore. Morì, si, ma
fu eletto ugualmente e le sue idee, il suo attivismo, continuarono a camminare
sulle gambe di quanti ne seguirono l’esempio nella lotta alla mafia, primi fra
tutti il fratello Giovanni e la madre Felicia che, dopo il delitto, seguirono
le orme che aveva percorso lui anni prima, ruppero anch’essi con la famiglia e contribuirono
a riabilitarne la figura, svelando la matrice mafiosa dell’attentato. Politico
e statista di grande caratura, Aldo Moro, dopo quasi due mesi di prigionia
nelle mani delle “Brigate rosse”, che lo rapirono il 16 marzo dopo aver ucciso
tutti e 5 gli uomini della sua scorta, venne ucciso nelle stesse ore di quel 9
maggio a Roma, per la lotta al terrorismo e la sua politica di apertura verso
il Pci, scelta che in quegli anni, definiti di piombo, non venne accettata. Un
caso ancora in larga parte aperto ed oscuro, il suo, nonostante numerose
indagini e diversi processi svoltisi in questi anni. Se non è esattamente certo
il motivo reale della sua morte, indiscutibile fu l’alto valore morale e politico
dell’agire istituzionale di Aldo Moro, per il quale governare significava «fare tante singole cose importanti ed
attese, ma nel profondo vuol dire promuovere una nuova condizione umana».
Una nuova condizione umana in cui promuovere l’uguaglianza e la democrazia per
tutti i cittadini, che devono essere messi nella condizione di poter godere
alla pari i frutti della buona politica è quella che dovrebbe aspirare a
realizzare chiunque decida di assumere la rappresentanza di pubbliche
istituzioni. In questo giorno in cui si commemorano le vittime del terrorismo e
della mafia il mio pensiero va a questi due grandi, un giornalista ed uno
statista, affinché il loro sacrificio, i loro valori, il loro esempio, le loro
lotte siano il faro che illumina la strada lungo cui camminano tutti i
cittadini onesti, a partire dai rappresentanti delle istituzioni che hanno,
abbiamo, l’onore e l’onere di fare e fare bene, per tutti.
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