Apprendo
con profondo rammarico ed infinita tristezza la notizia che per il prossimo
anno scolastico a Gerocarne saranno accorpate seconda e terza media. Una circostanza
che invita a fare tante riflessioni, perché la fredda legge dei numeri non può
e non deve avere un’applicazione automatica e generalizzata, soprattutto quando
si tratta di realtà interne e già di per se marginalizzate. Non può e non deve perché
realtà come Gerocarne sono già penalizzate dall'isolamento, da tante altre
problematiche e da mille altri tagli di servizi che portano ad un sempre più
massiccio abbandono degli stessi, perché non è più conveniente continuare a
viverci. Non può e non deve perché così facendo si arriva alla desertificazione
della periferia a vantaggio del centro, attorno a cui, però, si crea un deserto
di territori spopolati. Non può e non deve perché i piccoli centri dell’entroterra
sono già alle prese con tante di quelle problematiche che non se ne possono
creare di ulteriori. Non può e non deve perché l’istruzione è un diritto
fondamentale, alla base di quella formazione imprescindibile che porterà a
creare le donne e gli uomini di domani. Non può e non deve perché poi non ci si
può lamentare se le università italiane sono le meno frequentate d’Europa, con
una discutibile formazione d’ingresso. Non può e non deve perché non è colpa
dei piccoli comuni se ci sono sempre meno nascite ma di questa chiara ed
evidente tendenza centralista che toglie sempre maggiore terreno sotto i piedi
e li sottopone ad una lenta ma inesorabile eutanasia. Non può e non deve perché
dappertutto lo stato ha investito milioni e milioni di euro per dare ai nostri bambini
e ragazzi istituti sicuri e confortevoli, ed è una contraddizione enorme se poi
si fa di tutto per chiudere plessi che sono fiore all'occhiello di tanti centri.
Non potrebbe e non dovrebbe in questo preciso momento storico, quando a causa
di una emergenza sanitaria planetaria viene chiesto a tutti di tenere
comportamenti consoni alla situazione e di evitare assembramenti. Non può e non
deve perché se anche i diritti fondamentali vengono meno diventa inutile ed
avvilente continuare ad amministrare una qualsiasi realtà che vive attaccata all'ossigeno. In attesa che la bombola
si esaurisca e che venga staccata definitivamente la spina.
Vitaliano Papillo
"Non buttare via il tuo tempo o il tempo butterà via te."
mercoledì 8 luglio 2020
martedì 5 maggio 2020
Passata l'emergenza si torni alla competenza
La tuttora persistente emergenza sanitaria ha ancora di più messo a nudo le criticità e le debolezze del sistema Italia e del sistema Calabria a vari livelli, ponendoci prepotentemente di fronte alla necessità di dover ridisegnare il nostro Paese e la nostra regione. Il virus ha determinato quello stop quasi generale che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo immaginato, per poter riflettere sulle cose che non vanno, tante, farne tesoro, e ridisegnarle, più funzionali, più a misura d’uomo e di cittadino. Un processo importante di radicale rivoluzione politica, sociale, intellettuale, culturale, ambientale, sanitaria che va effettuato affidandoci alle competenze, all'autorevolezza ed alla professionalità, per evitare le approssimazioni che tanti danni hanno fatto e faranno. E questo in ogni ambito. In primis in politica, settore che ha ripercussioni su ogni altro della vita, dove l’emergenza ha dimostrato che occorre esperienza, saggezza, lucidità di mente per poter prendere quelle decisioni immediate che influiranno su tutti e su tutto e che, per tale ragione, devono essere efficaci e portare a soluzioni. Influiranno sulla sanità, dove si è svelata più che mai la precarietà di un sistema il quale, eroso poco a poco anche a vantaggio del privato, ha rischiato di mostrare nuda e cruda un’inefficienza che avrebbe potuto avere effetti ancor più devastanti, nonostante la straordinarietà del personale medico e paramedico. Influiranno sull'ambientale, dove la tutela dev'essere più puntuale ed attenta, perché ne abbiamo solo uno di mondo in cui vivere e se si oltrepassa oltre modo la soglia di auto-rigenerazione non si torna indietro. Influiranno a livello sociale ed economico, ambiti in cui l’emergenza sta palesando, e paleserà ancor di più nel futuro prossimo e venturo, le sue più devastanti conseguenze. Influiranno nell'ambito culturale ed intellettuale, dove la rivoluzione deve portare i cittadini a pretendere il meglio, e non l’approssimazione, la superficialità, l’improvvisazione da chi è stato delegato ad occupare posizioni gestionali. Da chi deve prendere decisioni, immediate o meno, che influiranno su tutti e che, per tale ragione, devono essere efficaci e portare a soluzioni efficienti. In una parola dalla politica. Una politica che, di recente, è stata resa ancor più approssimativa, seguendo l’idea che l’uno vale uno, che anche chi non ha alcuna esperienza potesse andare bene ai cittadini e che occorreva cambiare tutto perché tutti hanno fallito. Questa emergenza, invece, ha messo a nudo in maniera netta il grande bluff, ribaltando con forza questo concetto e spingendo a ricercare risposte da chi ha competenze, da chi ha studiato, da chi ha professionalità, da chi ha comprovata ed apprezzata esperienze amministrativa e gestionale, da chi ha dato risposte valide. La politica, e con essa ogni settore della nostra vita, si gioca tutto su questo fronte: chiamare i migliori per ricostruire al meglio la Calabria, l’Italia ed il mondo. Deve essere, questo, uno dei postumi positivi che questo virus ci lascerà. Un virus che ci ha dimostrato che l’uomo è fragile, non è invincibile, invulnerabile, onnipotente. Ma è perfettibile: se si pretende che ciò avvenga.
venerdì 24 maggio 2019
Il governo trasferisca ai comuni, per attuare borse lavoro, i fondi previsti per il reddito di cittadinanza
Una destinazione diversa del reddito di cittadinanza è possibile. La mia idea, da primo cittadino che sperimenta ogni giorno la carenza di risorse e forza lavoro, a fronte delle innumerevoli incombenze che quotidianamente si presentano nelle realtà amministrate, è quella di stornare tali risorse ai comuni, che a loro volta le possono impiegare per la realizzazione di borse lavoro rivolte a cittadini da utilizzare nei numerosi lavori in cui è chiamato ad intervenire l’ente. Un’idea che nasce da una realtà concreta che abbiamo realizzato a Gerocarne, dove, impiegando fondi comunali, siamo riusciti in un duplice importantissimo intento: dare impiego ai nostri cittadini, con i giusti requisiti di disagio economico, permettendo loro di guadagnarsi la borsa con la dignità del lavoro; ovviare all'insufficienza di personale e garantire degli interventi in diversi ambiti dove altrimenti sarebbe stato più arduo agire. Si tratta di grandi lavoratori che hanno consentito al comune anche di superare delle criticità o, più semplicemente, ma non meno importante, di garantire un decoro urbano più ottimale. Il sistema di reclutamento dei destinatari potrebbe essere quello già immaginato per il reddito di cittadinanza, attraverso l’Isee, la durata delle borse potrebbe essere quella già stabilità per l’attesa necessaria a trovare un’altra occupazione ed i fondi da trasferire ad ogni ente quelli già in previsione per il numero di domande presentate per il reddito di cittadinanza dai residenti di ogni comune. Si realizzerebbe invece che il reddito di cittadinanza una sorta di reddito di municipalità, che non cambierebbe nulla nell’idea che sta alla base del primo, se non nel dare un senso ed un’utilità al danaro elargito, una dignità al soggetto che lo percepisce, facendogli ricambiare con una prestazione, ed una mano grande ai bisogni giornalieri dei comuni, alle prese con carenza di operai e figure da impiegare nelle necessità che si presentano.
lunedì 19 novembre 2018
Gli ultimi hanno tutte le potenzialità per essere primi
Nell'ennesima indagine svolta sulla qualità della vita nelle province italiane Vibo ed il suo
territorio continuano ad essere ultimi. Un Leitmotiv cui siamo abituati e che, per questo, quasi
non ci sorprende più.
Dal 2004, infatti, sempre secondo l’indagine di
“Italia Oggi”, è almeno la seconda volta che la nostra provincia occupa il
primo posto al contrario e, sempre negli stessi anni, non siamo mai andati al
di sotto della 73esima posizione, occupando spesso le estreme retrovie (oltre
il 90esimo ed anche 100esimo posto).
Nello stesso periodo, invece, le prime due
posizioni sono state occupate costantemente ed alternativamente da sole sette
province del centro nord, con la prevalenza assoluta di quelle di Trento (6
volte prima e 7 seconda), Bolzano (tre volte prima e cinque seconda) e Mantova
(3 volte prima ed una seconda).
È evidente che c’è più di qualcosa che non va, e
lo è per tutti e nove i parametri presi in considerazione, per alcuni dei quali
la colpa è indubbiamente della politica e di chi, ai vari livelli, amministra
la cosa pubblica, mentre per altri in buona parte concorriamo noi da cittadini,
con scarso senso civico, mancanza di rispetto del bene comune, imbruttimento ed
inquinamento dell’ambiente, illegalità diffusa, scarso rispetto delle regole
del buon vivere e quant'altro facciamo affinché Vibo e la sua provincia siano la
Cenerentola d’Italia.
Questo è il dato di fatto. Ora, ci sono due uniche
strade che possiamo seguire: continuare a piangerci addosso e rifiutare di attivarci,
perché eternamente convinti che la rotta non possa essere invertita e che l’ultima
posizione, o giù di lì, sia quella che più ci confà oppure prendere questo
ennesimo “schiaffo” come una sfida, la più difficile ed affascinante allo
stesso tempo, e tutti, ognuno per la sua parte, metterci tutto l’impegno possibile
per rendere questa “Cenerentola” la principessa d’Italia.
Il buon Dio, grazie al cielo, quando ha creato
queste terre le ha fornite di doti eccezionali: il mare, con la costa degli Dei;
la montagna, con l’amenità delle Serre e l’altopiano del Poro; i borghi, con
tanti tesori segreti da svelare; enogastronomia; artigianato; storia; cultura.
Occorre solo capire l’immenso potenziale di
tale dotazione e metterla a frutto.
Questo è un primo passo, cui, ad esempio, può dare
un grande contributo il Gal, che con i suoi strumenti può creare reali
opportunità di progresso e rilancio.
Ma un contributo lo devono dare anche i
cittadini, che devono sentire la terra vibonese come la loro terra e, in quanto
tale, rispettarla ed amarla per come merita. Ed accanto ai cittadini ci deve
essere la politica, dobbiamo esserci noi amministratori, che dobbiamo diventare
consci dello straordinario potenziale della terra vibonese.
Ad ogni livello dobbiamo capire che fornire ai
cittadini servizi degni di un paese civile è un diritto sacrosanto di chi vive
a Vibo, come di chi vive a Trento e Bolzano. Il cittadino vibonese deve potersi
rivolgere ad una sanità di serie A, che ispiri fiducia e non timore. La piaga
della criminalità non deve più ostacolare lo sviluppo. Lo studente vibonese
deve poter frequentare scuole sicure ed efficienti e, dopo aver assolto il
proprio dovere, godere di strutture e spazi dove impiegare piacevolmente il
proprio tempo libero. L’automobilista vibonese deve potersi spostare su strade
e vie di comunicazione dove non si rischi la pelle ogni giorno. Il turista che
viene in terra vibonese deve rimanere sbalordito per l’ordine e la bellezza dei
luoghi, non per il mare inquinato o per i disservizi. Il giovane vibonese non
deve continuare a portare la propria forza ed il proprio cervello fuori dal suo
territorio. Perché i giovani sono risorse e se vanno via si perde la linfa per
continuare a vivere.
Se questi, ed altri, sono i problemi che mettono
la provincia vibonese all'ultimo posto in classifica i cittadini che ci vivono
ed i politici e gli amministratori delegati a mettervi mano devono rimboccarsi
le maniche ed agire.
Abbiamo sindaci validi. Una nuova
rappresentanza amministrativa provinciale. Siamo rappresentati alla regione ed
anche in parlamento. Abbiamo strumenti come il Gal “Terre Vibonesi”. Abbiamo il Sistema bibliotecario, con la sua intensa attività culturale e col "Festival Leggere&Scrivere". Disponiamo
di realtà produttive ed imprenditoriali valide. Di una ricca dotazione
fornitaci dal creatore.
E di cittadini che amano la loro terra.
Partiamo da questo e sinergicamente, assembliamo
il tutto: facciamo nostra la sfida e risaliamo la china.
lunedì 17 settembre 2018
La (S)volta buona per la provincia? Dipende da noi!
Viaggiando quotidianamente sulle nostre strade provinciali, e pensando a quelli che sono gli enormi problemi dell’ente che dovrebbe prendersene cura, ed assistendo al solito spettacolo di come ci si prepara ad affrontare le prossime elezioni, mi rendo conto di come, ancora una volta, si stia perdendo di vista un’altra occasione per affrontare seriamente la questione “provincia” e risolverla alla radice. Questione che si compone di viabilità allo sbando, con rischi enormi per l’incolumità degli automobilisti, e di dissesto, territoriale e finanziario, che impedisce di immaginare una programmazione che vada oltre il giornaliero. Questione che, in una parola, si traduce semplicemente in un ente che non c’è. A fronte di tutto questo si assiste solo a toto nomi, divisioni, interpartitiche, commissioni ed ad una perenne e deleteria mancanza di voglia di fare squadra per affrontare una problematica che non è quella, sia pur importante, di definire chi debba ricoprire quale carica per fare cosa ma quella di stabilire cosa, poi, chi ricoprirà questa carica potrà realmente fare e con quali mezzi. Nelle condizioni in cui versa l’ente oggi non esiste persona al mondo in grado di imprimere un’azione incisiva e decisiva per invertire la rotta. E, ciononostante, continuiamo a dividerci ed a discutere di altro. Premetto che, con l'umiltà che mi contraddistingue, la mia non vuole essere una "lezione" ma un richiamo ad ognuno a far prevalere il sommo bene comune su tutto il resto, che non è mia intenzione propormi come ulteriore “nome” da aggiungere alla competizione - posso, semmai, dare il mio contributo in termini di idee e progetti come tutti gli altri - e che ritengo capaci i quattro colleghi ed amici di cui circolano i nomi per ricoprire la carica di presidente della provincia di Vibo. Ma ribadisco che non è questo il problema e che, come la volta scorsa, le divisioni e le discussioni di “altro”, porteranno ad un risultato simile a quello di allora, con l'impossibilità di muovere un dito e l'avvio dei "viaggi della speranza" a Roma ed alla "Cittadella" per elemosinare qualche palliativo che puntualmente non arriva. Al centro della discussione politica devono tornare le criticità di questo territorio, partendo magari da quello più pregnante che è la viabilità, e non chi debba gestire politicamente un “non” ente nella totale assenza di un come. Al centro della discussione politica devono tornare i cittadini, che sono stufi di questo abbandono del territorio e di una discussione politica “altra”. Al centro della discussione politica deve tornare il nostro ruolo, che è quello di riconoscere ed affrontare i problemi. Per questo ai colleghi sindaci ed a tutti gli attori coinvolti in questa tornata dico: chiediamo a tutta la deputazione vibonese a Roma, ed ai nostri rappresentanti regionali, se sono disposti a portare avanti insieme a noi un’azione seria per trovare le “istruzioni di funzionamento” di una provincia che non c’è. Solo dopo avrà un senso ed un criterio definire a chi mettere in mano queste "istruzioni" per far finalmente funzionare un ente altrimenti sempre destinato a barcamenarsi tra le solite incertezze.
venerdì 24 agosto 2018
La solitudine dei numeri primi
Noi
sindaci siamo il pilastro portante da cui si erige tutto l’apparato
amministrativo statale.
Siamo
la base dalle cui capacità e possibilità dipende la sorte di interi territori e
delle rispettive popolazioni, che hanno nel sindaco il primo e più diretto
interlocutore, cui rivolgersi e domandare attenzioni e ascolto su una miriade
di questioni e istanze, attendendosi una risposta il più possibile rapida ed
efficace.
Siamo
quelli che toccano quotidianamente con mano le problematiche della realtà amministrata
e, come padri di famiglia, dobbiamo stare attenti a ciò che si “guasta” nella
grande casa “Comune”, ed impegnarci ad aggiustarlo e correggerlo, ed a ciò che
può creare sviluppo, crescita e progresso, e tutelarlo, promuoverlo,
potenziarlo, migliorarlo e valorizzarlo.
Non
sempre, però, abbiamo gli strumenti per fare questo e farlo bene, e spesso sono
inadeguati.
Perché,
nonostante ciò che siamo e rappresentiamo, siamo sempre più soli ed
impossibilitati ad agire, ridotti da pilastro portante di tutta la struttura ad
anello debole della stessa: non riconosciuti come istituzioni, al pari di altre
e con le medesime possibilità di manovra ed azione, ma solo depositari di
enormi responsabilità; divisi ed isolati tra noi stessi sindaci, sia pur se le
problematiche da affrontare e risolvere e le strategie da adottare per
sostenere lo sviluppo delle realtà amministrate siano spesso identiche e
comuni.
Purtroppo
ci sono stati, ci sono e ci saranno colleghi che non svolgono come dovrebbero
il loro dovere: per colpa loro si fa di tutta l’erba un fascio e non si vede di
buon occhio la categoria nel suo complesso.
Ma il
mio invito è quello di riconsiderare questo atteggiamento nei nostri confronti,
di riconsiderare il nostro ruolo, perché siamo noi il primo presidio di
legalità sul territorio ed il primo ingranaggio dell’amministrazione pubblica,
quello che se non viene “oleato” come merita e come dovrebbe, fa inceppare
tutta la macchina.
Un
invito che rivolgo anche ai colleghi, che si trovano sulla stessa barca da cui,
a volte, per via delle mille tempeste ed intemperie in cui si naviga, senza
un’adeguata bussola che ci guidi e ci riconsegni il gusto di essere “capitani
coraggiosi”, viene la voglia di ammainare le vele e tirare su i remi.
Ai
colleghi sindaci dico: riappropriamoci seriamente del nostro ruolo. Facciamolo
attraverso un’assunzione di responsabilità collettiva che, superando egoismi,
inimicizie, appartenenze, simpatie, antipatie, dispetti, contrapposizioni ci
porti a ragionare sinergicamente ad ampio raggio e non rimanendo nei nostri
confini territoriali.
La
viabilità, la sanità, la tutela e valorizzazione del territorio, la
depurazione, lo sviluppo, il progresso, la cura dell’ambiente, la promozione
delle risorse di cui ognuno dispone non sono temi e problemi dell’“io” ma sono
temi e problemi del “noi”: facciamo squadra e, tutti insieme, unendo
particolarità, capacità e possibilità, affrontiamoli e tentiamo di risolverli
meglio.
Perché
occorre uno sviluppo territoriale, non locale. Uno sviluppo collettivo, non del
singolo. Uno sviluppo generale e non campanilista e municipale.
Dobbiamo
essere pronti a raccogliere questa sfida e a ridare al nostro ruolo
l’istituzionalità che merita.
Dobbiamo
iniziare a parlare con un’unica voce, perché: se parla un solo sindaco si
ascolta solo la sua voce; se parlano tutti i sindaci si ascolta la voce di un
territorio ampio e più autorevole.
Senza
egoismi e divisioni ma coralmente ed in sinergia.
martedì 7 agosto 2018
Obbligo vaccini, tornare indietro è un grave danno per la salute collettiva e un passo indietro per il Paese
Da genitore,
ancor prima che da amministratore ed uomo politico, esprimo rammarico per il
rinvio di un anno dell’obbligo vaccinale come pre-requisito per poter iscrivere
i bambini ad asili e scuole dell’infanzia, sancito alcuni giorni fa dal voto di
un emendamento in senato, che lo ha sostituito con una semplice
autocertificazione.
Una pagina
tristissima che fa fare un grosso passo indietro al Paese, in quanto allontana l’Italia dal raggiungimento dell’obiettivo
della cosiddetta “immunità di gregge”, indispensabile per tutelare la salute
pubblica, i bambini in primo luogo e, tra loro, soprattutto quelli
immunodepressi, esposti al gravissimo rischio di contrarre da parte dei loro
coetanei malattie per le quali, a causa della loro condizione di salute, non
possono essere vaccinati.
Un
dramma in conseguenza di cui gli esperti prevedono effetti nefasti che si
potrebbero evitare, rispettando un banalissimo obbligo che va a vantaggio di
tutti.
Sebbene,
infatti, la costituzione tuteli il diritto all’autodeterminazione, donando a
ciascuno l’autonomia di decidere liberamente quali debbano essere i trattamenti
sanitari a cui sottoporsi, è pur vero che quello alla salute è un diritto
collettivo, che l’autodeterminazione rischia di ledere e va tutelato
maggiormente con l’obbligo al trattamento, perché vaccinarsi è un dovere sociale
di ogni individuo verso la collettività tutta.
L’autocertificazione,
invece, non dà la sicurezza che i vaccini siano stati realmente eseguiti, perché
nessuno può provare con assoluta certezza che essa sia veritiera.
Vaccinarsi
vuol dire avere a cuore una società il più possibile sana, come dimostra il
fatto che intere generazioni hanno potuto dormire sonni tranquilli dagli incubi
del vaiolo (debellato nel 1980), della poliomelite (anch’essa scomparsa negli
anni ‘80), della meningite, della difterite (drasticamente ridotta), dell’epatite
B e di altre patologie mortali o gravemente invalidanti.
I
“pro” superano di gran lunga i “contro”.
Per
questo voglio che mio figlio e le giovani generazioni che vengono al mondo abbiano
il diritto di vivere in una società sana e libera da gravi malattie.
Per questo
sono a favore dell’obbligatorietà dei vaccini e, se necessario, mi batterò
personalmente nelle piazze per raccogliere firme a favore della tesi del
"si" ai vaccini, un tema che non può avere colori e connotazioni
politiche.
Perché
sostenere il contrario equivale a far fare un passo indietro all’Italia ed alla
civiltà che la distingue e contraddistingue.
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