"Non buttare via il tuo tempo o il tempo butterà via te."



venerdì 24 agosto 2018

La solitudine dei numeri primi


Noi sindaci siamo il pilastro portante da cui si erige tutto l’apparato amministrativo statale.
Siamo la base dalle cui capacità e possibilità dipende la sorte di interi territori e delle rispettive popolazioni, che hanno nel sindaco il primo e più diretto interlocutore, cui rivolgersi e domandare attenzioni e ascolto su una miriade di questioni e istanze, attendendosi una risposta il più possibile rapida ed efficace.
Siamo quelli che toccano quotidianamente con mano le problematiche della realtà amministrata e, come padri di famiglia, dobbiamo stare attenti a ciò che si “guasta” nella grande casa “Comune”, ed impegnarci ad aggiustarlo e correggerlo, ed a ciò che può creare sviluppo, crescita e progresso, e tutelarlo, promuoverlo, potenziarlo, migliorarlo e valorizzarlo.
Non sempre, però, abbiamo gli strumenti per fare questo e farlo bene, e spesso sono inadeguati.
Perché, nonostante ciò che siamo e rappresentiamo, siamo sempre più soli ed impossibilitati ad agire, ridotti da pilastro portante di tutta la struttura ad anello debole della stessa: non riconosciuti come istituzioni, al pari di altre e con le medesime possibilità di manovra ed azione, ma solo depositari di enormi responsabilità; divisi ed isolati tra noi stessi sindaci, sia pur se le problematiche da affrontare e risolvere e le strategie da adottare per sostenere lo sviluppo delle realtà amministrate siano spesso identiche e comuni.
Purtroppo ci sono stati, ci sono e ci saranno colleghi che non svolgono come dovrebbero il loro dovere: per colpa loro si fa di tutta l’erba un fascio e non si vede di buon occhio la categoria nel suo complesso.
Ma il mio invito è quello di riconsiderare questo atteggiamento nei nostri confronti, di riconsiderare il nostro ruolo, perché siamo noi il primo presidio di legalità sul territorio ed il primo ingranaggio dell’amministrazione pubblica, quello che se non viene “oleato” come merita e come dovrebbe, fa inceppare tutta la macchina.
Un invito che rivolgo anche ai colleghi, che si trovano sulla stessa barca da cui, a volte, per via delle mille tempeste ed intemperie in cui si naviga, senza un’adeguata bussola che ci guidi e ci riconsegni il gusto di essere “capitani coraggiosi”, viene la voglia di ammainare le vele e tirare su i remi.
Ai colleghi sindaci dico: riappropriamoci seriamente del nostro ruolo. Facciamolo attraverso un’assunzione di responsabilità collettiva che, superando egoismi, inimicizie, appartenenze, simpatie, antipatie, dispetti, contrapposizioni ci porti a ragionare sinergicamente ad ampio raggio e non rimanendo nei nostri confini territoriali.
La viabilità, la sanità, la tutela e valorizzazione del territorio, la depurazione, lo sviluppo, il progresso, la cura dell’ambiente, la promozione delle risorse di cui ognuno dispone non sono temi e problemi dell’“io” ma sono temi e problemi del “noi”: facciamo squadra e, tutti insieme, unendo particolarità, capacità e possibilità, affrontiamoli e tentiamo di risolverli meglio.
Perché occorre uno sviluppo territoriale, non locale. Uno sviluppo collettivo, non del singolo. Uno sviluppo generale e non campanilista e municipale.
Dobbiamo essere pronti a raccogliere questa sfida e a ridare al nostro ruolo l’istituzionalità che merita.
Dobbiamo iniziare a parlare con un’unica voce, perché: se parla un solo sindaco si ascolta solo la sua voce; se parlano tutti i sindaci si ascolta la voce di un territorio ampio e più autorevole.
Senza egoismi e divisioni ma coralmente ed in sinergia.

martedì 7 agosto 2018

Obbligo vaccini, tornare indietro è un grave danno per la salute collettiva e un passo indietro per il Paese


Da genitore, ancor prima che da amministratore ed uomo politico, esprimo rammarico per il rinvio di un anno dell’obbligo vaccinale come pre-requisito per poter iscrivere i bambini ad asili e scuole dell’infanzia, sancito alcuni giorni fa dal voto di un emendamento in senato, che lo ha sostituito con una semplice autocertificazione.
Una pagina tristissima che fa fare un grosso passo indietro al Paese, in quanto allontana l’Italia dal raggiungimento dell’obiettivo della cosiddetta “immunità di gregge”, indispensabile per tutelare la salute pubblica, i bambini in primo luogo e, tra loro, soprattutto quelli immunodepressi, esposti al gravissimo rischio di contrarre da parte dei loro coetanei malattie per le quali, a causa della loro condizione di salute, non possono essere vaccinati.
Un dramma in conseguenza di cui gli esperti prevedono effetti nefasti che si potrebbero evitare, rispettando un banalissimo obbligo che va a vantaggio di tutti.
Sebbene, infatti, la costituzione tuteli il diritto all’autodeterminazione, donando a ciascuno l’autonomia di decidere liberamente quali debbano essere i trattamenti sanitari a cui sottoporsi, è pur vero che quello alla salute è un diritto collettivo, che l’autodeterminazione rischia di ledere e va tutelato maggiormente con l’obbligo al trattamento, perché vaccinarsi è un dovere sociale di ogni individuo verso la collettività tutta.
L’autocertificazione, invece, non dà la sicurezza che i vaccini siano stati realmente eseguiti, perché nessuno può provare con assoluta certezza che essa sia veritiera.
Vaccinarsi vuol dire avere a cuore una società il più possibile sana, come dimostra il fatto che intere generazioni hanno potuto dormire sonni tranquilli dagli incubi del vaiolo (debellato nel 1980), della poliomelite (anch’essa scomparsa negli anni ‘80), della meningite, della difterite (drasticamente ridotta), dell’epatite B e di altre patologie mortali o gravemente invalidanti.
I “pro” superano di gran lunga i “contro”.
Per questo voglio che mio figlio e le giovani generazioni che vengono al mondo abbiano il diritto di vivere in una società sana e libera da gravi malattie. 
Per questo sono a favore dell’obbligatorietà dei vaccini e, se necessario, mi batterò personalmente nelle piazze per raccogliere firme a favore della tesi del "si" ai vaccini, un tema che non può avere colori e connotazioni politiche.
Perché sostenere il contrario equivale a far fare un passo indietro all’Italia ed alla civiltà che la distingue e contraddistingue.