Noi
sindaci siamo il pilastro portante da cui si erige tutto l’apparato
amministrativo statale.
Siamo
la base dalle cui capacità e possibilità dipende la sorte di interi territori e
delle rispettive popolazioni, che hanno nel sindaco il primo e più diretto
interlocutore, cui rivolgersi e domandare attenzioni e ascolto su una miriade
di questioni e istanze, attendendosi una risposta il più possibile rapida ed
efficace.
Siamo
quelli che toccano quotidianamente con mano le problematiche della realtà amministrata
e, come padri di famiglia, dobbiamo stare attenti a ciò che si “guasta” nella
grande casa “Comune”, ed impegnarci ad aggiustarlo e correggerlo, ed a ciò che
può creare sviluppo, crescita e progresso, e tutelarlo, promuoverlo,
potenziarlo, migliorarlo e valorizzarlo.
Non
sempre, però, abbiamo gli strumenti per fare questo e farlo bene, e spesso sono
inadeguati.
Perché,
nonostante ciò che siamo e rappresentiamo, siamo sempre più soli ed
impossibilitati ad agire, ridotti da pilastro portante di tutta la struttura ad
anello debole della stessa: non riconosciuti come istituzioni, al pari di altre
e con le medesime possibilità di manovra ed azione, ma solo depositari di
enormi responsabilità; divisi ed isolati tra noi stessi sindaci, sia pur se le
problematiche da affrontare e risolvere e le strategie da adottare per
sostenere lo sviluppo delle realtà amministrate siano spesso identiche e
comuni.
Purtroppo
ci sono stati, ci sono e ci saranno colleghi che non svolgono come dovrebbero
il loro dovere: per colpa loro si fa di tutta l’erba un fascio e non si vede di
buon occhio la categoria nel suo complesso.
Ma il
mio invito è quello di riconsiderare questo atteggiamento nei nostri confronti,
di riconsiderare il nostro ruolo, perché siamo noi il primo presidio di
legalità sul territorio ed il primo ingranaggio dell’amministrazione pubblica,
quello che se non viene “oleato” come merita e come dovrebbe, fa inceppare
tutta la macchina.
Un
invito che rivolgo anche ai colleghi, che si trovano sulla stessa barca da cui,
a volte, per via delle mille tempeste ed intemperie in cui si naviga, senza
un’adeguata bussola che ci guidi e ci riconsegni il gusto di essere “capitani
coraggiosi”, viene la voglia di ammainare le vele e tirare su i remi.
Ai
colleghi sindaci dico: riappropriamoci seriamente del nostro ruolo. Facciamolo
attraverso un’assunzione di responsabilità collettiva che, superando egoismi,
inimicizie, appartenenze, simpatie, antipatie, dispetti, contrapposizioni ci
porti a ragionare sinergicamente ad ampio raggio e non rimanendo nei nostri
confini territoriali.
La
viabilità, la sanità, la tutela e valorizzazione del territorio, la
depurazione, lo sviluppo, il progresso, la cura dell’ambiente, la promozione
delle risorse di cui ognuno dispone non sono temi e problemi dell’“io” ma sono
temi e problemi del “noi”: facciamo squadra e, tutti insieme, unendo
particolarità, capacità e possibilità, affrontiamoli e tentiamo di risolverli
meglio.
Perché
occorre uno sviluppo territoriale, non locale. Uno sviluppo collettivo, non del
singolo. Uno sviluppo generale e non campanilista e municipale.
Dobbiamo
essere pronti a raccogliere questa sfida e a ridare al nostro ruolo
l’istituzionalità che merita.
Dobbiamo
iniziare a parlare con un’unica voce, perché: se parla un solo sindaco si
ascolta solo la sua voce; se parlano tutti i sindaci si ascolta la voce di un
territorio ampio e più autorevole.
Senza
egoismi e divisioni ma coralmente ed in sinergia.